mercoledì 10 luglio 2013

Il Manoscritto Voynich

Il manoscritto Voynich, definito  "il libro più misterioso del mondo", è a tutt'oggi l'unico libro scritto nel XV secolo (la datazione al radiocarbonio ha stabilito con quasi totale certezza che il manoscritto sia stato redatto tra il 1404 e 1438) che non sia stato ancora decifrato. 
Il manoscritto contiene immagini di piante mai viste ed è scritto in un idioma che non appartiene ad 
alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto.

Il volume, scritto su pergamena di capretto, è di dimensioni piuttosto ridotte: 16 cm di larghezza, 22 di altezza e 4 di spessore. Consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine. La rilegatura porta tuttavia a ritenere che originariamente comprendesse 116 fogli e che 14 si siano smarriti.
Fanno da corredo al testo una notevole quantità di illustrazioni a colori, ritraenti i soggetti più svariati: proprio i disegni lasciano intravedere la natura del manoscritto, venendo di conseguenza scelti come punto di riferimento per la suddivisione dello stesso in diverse sezioni, a seconda del tema delle illustrazioni:
Sezione I  chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute;
Sezione II : chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione.
Sezione III : chiamata biologica, nomenclatura dovuta esclusivamente alla presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro.
Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi.
Sezione IV : detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie. In questa sezione vi sono anche disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali.
L'ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, fatte salve delle stelline a sinistra delle righe, ragion per cui si è portati a credere che si tratti di una sorta di indice.

Il manoscritto Voynich deve il suo nome a Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari di origini polacche, naturalizzato inglese, che lo acquistò dal collegio gesuita di Villa Mondragone, nei pressi di Frascati, nel 1912 ed è attualmente conservato presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale, negli Stati Uniti.
In molti, nel corso del tempo, e soprattutto ultimamente, hanno cercato di decifrare la lingua sconosciuta del Voynich. Il primo ad aver affermato di essere riuscito nell'impresa fu William Newbold, professore di filosofia medievale alla Università di Pennsylvania. Nel 1921 pubblicò un articolo in cui proponeva un elaborato ed arbitrario procedimento con cui tradurre il testo, che sarebbe stato scritto in un latino "camuffato" addirittura da Ruggero Bacone. La conclusione a cui Newbold arrivò con la sua traduzione fu che già nel tardo Medioevo sarebbero state conosciute nozioni di astrofisica e biologia molecolare. Newbold analizzando il manoscritto però si accorse che le minuscole annotazioni in realtà altro non erano che crepe nella pergamena invecchiata.

Negli anni quaranta i crittografi Joseph Martin Feely e Leonell C. Strong applicarono al documento dei sistemi di decifratura sostitutiva, cercando di ottenere un testo con caratteri latini in chiaro: il tentativo produsse un risultato che però non aveva alcun significato. Il manoscritto fu l'unico a resistere alle analisi degli esperti di crittografia della marina statunitense, che alla fine della guerra studiarono ed analizzarono alcuni vecchi codici cifrati per mettere alla prova i nuovi sistemi di decodifica. J.M. Feely pubblicò le sue deduzioni nel libro "Roger Bacon's Cipher:The Right Key Found" in cui, ancora una volta, attribuiva a Bacone la paternità del manoscritto.

Nel 1945 il professor William F. Friedman, costituì a Washington un gruppo di studiosi, il First Voynich Manuscript Study Group (FSG). Egli optò per un approccio più metodico e oggettivo, nell'ambito del quale emerse la cospicua ripetitività del linguaggio del Voynich. Tuttavia, a prescindere dall'opinione maturatagli nel corso degli anni in merito all'artificialità di tale linguaggio, all'atto pratico la ricerca si risolse in un nulla di fatto: a niente servì infatti la trasposizione dei caratteri in segni convenzionali, che doveva fungere da punto di partenza per qualsiasi analisi successiva.

Lo studio tradizionale più significativo in materia resta ad oggi quello compiuto nel 1976 da William Ralph Bennett, che ha applicato la casistica alle lettere ed alle parole del testo, mettendone in luce non solo la ripetitività, ma anche la semplicità lessicale e la bassissima entropia: il linguaggio del Voynich, in definitiva, non solo si avvarrebbe di un vocabolario limitato, ma anche di una basilarità linguistica riscontrabile, tra le lingue moderne, solo nell'hawaiano. Il fatto che le medesime "sillabe", e perfino intere parole, vengano ripetute con una frequenza tale da rasentare il beffardo, è attinente più ad una concezione inconsciamente accomodante, che non volutamente criptica.

Sempre secondo lo studio tradizionale, sono  state riconosciute 19-28 probabili lettere, che non hanno nessun legame con gli alfabeti attualmente conosciuti. Si sospetta inoltre che siano stati usati due alfabeti complementari ma non uguali, e che il manoscritto sia stato redatto da più persone. Imprescindibile quanto significativa in tal senso è poi l'assoluta mancanza di errori ortografici, cancellature o esitazioni, elementi costanti invece in qualunque altro manoscritto.
Ma adesso un nuovo studio, meno tradizionale degli altri, suggerisce la possibilità che invece, tra quelle righe apparentemente senza senso, si nasconda un vero codice cifrato e non una lingua sconosciuta. Questa ipotesi è emersa grazie ad una tecnica statistica che permette di quantificare il contenuto informativo negli elementi di un testo, anche se dal significato oscuro. La stessa tecnica può anche essere utilizzata, ad esempio, per “leggere” il Dna oppure per scovare eventuali segnali tra i neuroni del cervello.

Promotore della ricerca è il dottor Marcelo Montemurro, uno studioso argentino che ora lavora presso l’Università di Manchester. Con il suo team, ha provato ad applicare questo metodo scientifico al Codice Voynich. “Abbiamo deciso che questo misterioso manoscritto era il candidato ideale. Si discute e si litiga da decenni sulla sua autenticità. Il nostro è stato un approccio innovativo“, ha spiegato Montemurro.
Piuttosto che considerare gli eventuali schemi nelle singole parole, il ricercatore ha cercato uno modello globale nella frequenza e nel raggruppamento di termini che potrebbero avere un significato. “I risultati che abbiamo ottenuto gettano nuova luce su questo antico volume”, afferma.
Il metodo usa una formula per trovare l’entropia di ogni termine- ovvero, la misura di come le parole sono distribuite. In sostanza, quelle più importanti dovrebbero apparire più frequentemente, pur distinguendo tra i termini a bassa informazione- come la congiunzione “e” che dovrebbe trovarsi un po’ ovunque- e i termini ad alta informazione, che invece dovrebbero apparire solo  in determinate sezioni.

Questa tecnica statistica è già stata usata, negli anni scorsi, su testi noti. Ad esempio, analizzando “L’origine delle specie”, la bibbia della teoria evoluzionistica scritta da Charles Darwin, è emerso che le parole ad alta informazione più frequenti sono, per l’appunto, specie, genere, ibridi e varietà. Un risultato assolutamente coerente con il contenuto del saggio. Oppure, studiando la frequenza linguistica nel romanzo di Herman Melvill “Moby Dick”, la parola più ricorrente è risultata balena. Anche qui, nessuna sorpresa.
Dunque, il metodo sembra funzionare anche applicato alla linguistica. Nel caso del Manoscritto Voynich, sono emerse alcune parole ad alta entropia che sembrano essere specifiche nelle differenti sezioni del libro. Montemurro e i suoi collaboratori hanno infatti trovato che i termini presenti nelle illustrazioni dei capitoli che sembrano trattare di botanica e di farmaceutica appaiono più correlati gli uni agli altri rispetto alle parole presenti nei capitoli apparentemente di astronomia e biologia. Risulta, insomma, una certa omogeneità.

“C’è una forte connessione linguistica e la nostra analisi è la prima ad aver evidenziato questo legame tra le due sezioni in base alla struttura della lingua”, afferma Montemurro. La tecnica statistica è anche il modo migliore per raggruppare parole correlate per massimizzare al meglio il loro contenuto informativo. Nei racconti o nei singoli capitoli di un libro, i gruppi di termini collegati e ad alta entropia tendono ad essere molto ampi: spesso contengono centinaia di parole. All’opposto, nei testi che sono solo un elenco di citazioni, slegate le une dalle altre, i raggruppamenti di parole correlate sono molto ridotti.
In media, nelle varie lingue umane, antiche e moderne, questi gruppi arrivano a contare tra le 500 e le 700 parole. Per l’idioma usato nel Codice Voynich, sono circa 800. Un numero leggermente superiore, ma- ancora una volta- coerente con l’ipotesi che quei segni grafici che coprono la pergamena non siano solo scarabocchi, ma un vero e proprio codice cifrato sconosciuto che chissà quali segreti potrebbe svelare. Ora resta solo da decifrarlo, per dare un senso alle 204 pagine di cui il manoscritto è composto. E l’impresa non sembra affatto semplice.
Quali saranno i risultati? Sarà davvero il libro di una razza più evoluta?
Noi seguiremo questa impresa pronti a darne opportuna comunicazione.